Puntata del 22 marzo 2020


Buonasera San Carlo!
Dalle nostre case stiamo salutando anche questa domenica che sta terminando, la quarta del tempo di quaresima, quella dedicata alla figura del cieco nato.

Chi ha avuto la possibilità di ascoltare le parole del nostro Arcivescovo questa mattina avrà potuto riflettere sugli spunti che ci ha consegnato, sulle domande che intessono il vangelo di oggi. Dalla domanda dei discepoli a Gesù: “chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché nascesse cieco?”, a quella di Gesù al cieco nato: “tu credi nel Figlio dell’Uomo?”.

Non solo i personaggi del vangelo, ma anche noi ci sentiamo dentro tante domande e forse la più grande che abbiamo è quella che il salmo ci aiuta a condensare, facendoci dire: “Fino a quando, oh Signore?”

Basteranno novene, preghiere, attestati pubblici di fede, catene via gruppi whatsapp, messaggi più o meno spirituali che ormai sembrano anche un po’ intasare le nostre caselle elettroniche ad aiutarci realmente? Come il nostro mondo sta cambiando già da ora? Che cosa stiamo imparando da quello che ci sta accadendo?

Questa sera sospendo il commento sul Simbolo degli apostoli per quest’oggi e vorrei consegnarvi una poesia, perché, per citare il grande scrittore russo Dostoevskij: “la Bellezza salverà il mondo”. Quella Bellezza innanzitutto che è la Gloria della Pasqua di Gesù, quella Bellezza che si rivela nella mano dei tanti samaritani che oggi si fanno prossimi e accudiscono coloro che sono caduti nel contagio.

Quella bellezza che può purificare i pensieri tenebrosi che, purtroppo vengono ad annidarsi nel nostro cuore e abitano nel nostro profondo.

È una poesia di Mariangela Gualtieri e si intitola Nove marzo duemilaventi,

Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.

E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.

Adesso siamo a casa.

È portentoso quello che succede.

E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.

Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.

Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.

Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.

A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.

Un caro saluto, un abbraccio forte a tutti, sempre uniti andiamo avanti!
Vostro Don Emanuele.




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