Buonasera San Carlo!
Oggi festa dell’Annunciazione del Signore e proseguiamo la nostra meditazione sul mistero dell’Incarnazione.
Quando durante la recita del Credo pronunciamo le parole: “e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo”, tutti chiniamo il capo in segno di profonda adorazione, e quando la liturgia chiede addirittura di mettersi in ginocchio come durante le celebrazioni del Natale mi piace sospendere la recita e far sostare nel silenzio, perché non ci sono più parole: siamo rapiti dallo stupore e dalla meraviglia di questo evento di salvezza.
Rispetto alla più sobria espressione del Simbolo degli Apostoli, quella del Simbolo niceno-costantinopolitano ci racconta qualcosa di più. Il fulcro è proprio nel soggetto sottinteso “Egli”, cioè il Verbo della Vita, il Figlio unigenito, L’Amato nel quale il Padre ha posto ogni compiacimento.
Vorrei sottolineare le tre parole che scandiscono l’incedere della frase: opera, incarnato e uomo.
La prima mette in luce il fatto che l’esistenza terrena di Gesù è stata causata dall’azione dello Spirito Santo, per cui la vita di Gesù non è dipesa dal gesto umano tipico del generare, l’unione tra l’uomo e la donna; questo gesto è assente, e ciò evidenzia il fatto che Gesù è dono del Padre a noi, e ogni tendenza possessiva di chi vuole appropriarsi di Lui viene, in qualche modo, cancellata.
La seconda parola più che bisognosa di spiegazione ci rimanda al primo capitolo del vangelo di Giovanni a cui voglio rimandare ciascuno per una attenta lettura e la meditazione personale. Nel primo capitolo, nel grande prologo, ci viene detto che il Verbo, la Parola eterna del Padre diventa carne condividendo la nostra condizione di creature.
Ma il termine, la terza parola è uomo. Si è fatto uomo. Siamo abituati soprattutto oggi a rendere gli uomini della divinità, vedere delle persone di successo, nei VIP, negli sportivi, negli uomini di potere l’essere, in qualche modo, degli dei e, sotto sotto, desiderare di essere come loro. La corsa verso la longevità che costituisce una delle maggiori ossessioni del nostro tempo non è forse il segno più evidente di una immortalità, di una divinità che vogliamo conquistare? In una parola, vogliamo disumanizzarci, vogliamo toglierci da questa carne, vogliamo essere simili a dei, felici, potenti, invincibili, amati e adorati e perché no, magari anche temuti. Poi dall’altra parte abbiamo Dio che invece vuole farsi uomo, finito, piccolo, fragile, vulnerabile. La realtà da cui vogliamo emanciparci lui la assume fino in fondo senza sconti.
Un bella meditazione musicale che vorrei suggerirvi è l’ascolto del brano “Et Incarnatus est”, della grande Messa in Do minore di Mozart, detta anche la Grande messa, K 427. Il brano è inserito nel Credo. Dopo l’inizio prorompente, tutto sembra fermarsi e si trasforma in una lunga e dolcissima melodia, così che parola e musica si fondono per trasportarci nello stupore del mistero dell’incarnazione.
Mozart, non sappiamo per quale motivo, non completò mai il Credo, ma si fermò a questa punto, proprio sulla soglia del mistero a cui ci viene chiesto anche oggi di chinare il capo, a quel Dio che si è chinato fino a noi facendosi uomo, come noi, facendosi uno di noi.
Questa sera saluto e ricordo in particolare le persone, adulti, adolescenti e giovani che si prodigano con generosità per il doposcuola, oltre al supporto nello studio, ridanno motivazione e gusto per il loro percorso scolastico di tanti ragazzi.
Speriamo che si possa riprendere al più presto. In questa festa dell’Annunciazione un augurio a tutti coloro che portano il nome di Maria, Maria Annunciata.
Una preghiera, un saluto, sempre uniti e avanti.
Vostro Don Emanuele.