Buonasera San Carlo!
Già l’aria di primavera sta timidamente entrando nelle nostre case dove siamo asserragliati: questi sono i presagi di Pasqua che la natura ci regala. Una Pasqua nella diaspora ma che, sono certo, sapremo vivere con il medesimo impegno e la stessa intensità di fede.
Nel Buonasera San Carlo di sabato ho parlato della discesa agli inferi di Cristo sollevando da molti di voi alcune domande che riprendono il filo del discorso. Vorrei quindi abbozzarne una riposta.
Innanzitutto, c’è una distinzione che occorre chiarire tra “inferi” e “inferno”. Non devono essere pensati come dei luoghi fisici, bensì come delle condizioni in cui ci si viene trovare. Se l’inferno è la condizione del rifiuto totale di Dio ed è la rinuncia cosciente e deliberata della Comunione con la SS. Trinità, gli inferi sono la condizione di chi ha lasciato la vita prima di Cristo nel segno della speranza della salvezza. Questo dato lo troviamo attestato in parecchi luoghi dell’Antico Testamento; in particolare vorrei citarvi il libro di Giobbe, capitolo diciannovesimo, versetto ventitré e seguenti. Giobbe dice:
«Io so che il mio Vendicatore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà distrutta,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
e i miei occhi lo contempleranno non da straniero».
Attraverso la Pasqua di Gesù avviene la piena redenzione del creato: così tutte le creature sono destinate alla Comunione piena con Dio, e tra esse Gesù è la primizia dei Risorti, la gemma di primavera che spunta nel cuore dell’inverno. In questo senso, coloro che sono vissuti prima di Gesù e sono morti in questa Speranza vivono una condizione di attesa che si compie con il Sacrificio di Gesù. Nella prima lettera di Pietro, infatti, troviamo scritto che la buona novella è stata annunciata anche ai morti e nel libro dell’Apocalisse di Giovanni si afferma che il Risorto ha potere sugli inferi e sulla morte.
Seguendo questo sentiero scopriamo alcune conseguenze che oso solo abbozzare nella consapevolezza che hanno bisogno di un ulteriore chiarimento e un’esposizione più articolata.
La prima: la morte diviene non la fine della vita ma il passaggio, la Pasqua, che nella nostra carne è stata già anticipata nel Battesimo, sacramento che ci ha configurato a Gesù. La sua vicenda di Cristo è anche la nostra. Egli, con la sua Croce e la sua Risurrezione, non ha tolto la morte dalla nostra vita, ma ci ha donato la vita dopo la nostra morte.
La seconda conseguenza è che il Vangelo è annuncio anche nei luoghi di morte. È l’annuncio del Risorto che porta agli inferi della nostra epoca, la speranza, la via d’uscita, il riscatto.
Gli inferi quindi possono essere considerati una condizione esistenziale che si sperimenta. Vuol dire che nessuna condizione umana è disperata a partire dalla Pasqua di Gesù. Nessun uomo più è condannato, ma ha una possibilità di salvezza.
E da qui la terza considerazione: Dio vuole “che tutti gli nomi siano salvati e nessuno vada perduto”. Quindi la condizione degli inferi come privazione dell’amore di Dio, e della felicità eterna che ne consegue, viene debellata in modo totale e definitivo dalla Croce e Risurrezione di Gesù. In questa intenzione di salvezza, che tocca tutta la storia, tutti gli uomini vengono redenti: questo è il senso della discesa agli inferi. Come Dio liberò Israele dalla schiavitù dell’Egitto con la Pasqua mosaica, così nella Pasqua di Cristo a tutti viene offerta la salvezza.
Perciò, il teologo H. U. von Balthasar dirà che la fede cristiana ci fa sperare che l’inferno, come condizione di infelicità eterna, causata dal rifiuto dell’amore di Dio, sia vuoto: ogni cristiano ha il dovere di sperare perché tutti accettino la salvezza gratuitamente offerta da Dio a ogni uomo nella Pasqua di Cristo.
Questa sera vorrei ricordare e salutare in particolare tutte le famiglie della nostra comunità.
Viviamo giorni nei quali siamo messi alla prova sotto diversi profili, quello psicologico, quello fisico, quello morale, quello anche educativo con i propri figli…oltre a sostenervi e ricordarvi è bello che ciascuno faccia la sua parte, riscoprendo anche il buon galateo della famiglia, ma su questo mi piacerebbe tornare.
Per ora vi abbraccio, vi saluto, vi benedico!
sempre uniti e avanti.
Vostro don Emanuele.