Editoriale Marzo 2021


INTRODUZIONE



All’inizio di questa quaresima ci sono state proposte tre serate di riflessione su come la parrocchia possa essere il luogo nel quale coltivare e far crescere il senso della fraternità evangelica. I discepoli del Signore sanno che l’esperienza della fede è irreale se vissuta a prescindere da un legame fondato sulla prossimità e sulla cura dell’altro.
Se da un lato si percepisce l’importanza di questo tema dall’altro si scopre come le attese di ciascuno siano sproporzionate rispetto a ciò che si è disposti ad offrire in termini di condivisione e di fraternità. Come per dire, tutti sappiamo che salutarsi è un gesto di cortesia che sarebbe auspicabile che tutti praticassero, sempre a patto che gli altri lo facciano per primi… (sic!)

In questo numero di InParrocchia+ potrete trovare già un articolo che descrive i tre interventi che tra l’altro si possono recuperare integralmente sul canale YouTube della parrocchia; mi piacerebbe invece soffermarmi su tre dipinti che in quelle sere ci hanno aiutato nella riflessione e nella preghiera e che consegno voi a mo’ di augurio pasquale, anche perché la riflessione possa trovare seguito.

ANALISI DELLE OPERE

Il Trittico delle Delizie

È certamente uno dei pittori più strani e nel contempo anche più straordinari del panorama pittorico europeo, si tratta di Hyeronimus Bosch pittore surrealista, vissuto nella seconda metà del quattrocento in una piccola cittadina nel sud delle Fiandre Olandesi chiamata s-Hertogenbosch. Uno dei suoi capolavori è sicuramente il Trittico delle Delizie conservato presso il Museo del Prado a Madrid: il soggetto del dipinto si dispiega in tre pannelli\scene, che rappresentano rispettivamente il Giardino dell’Eden nella sua più sublime bellezza, l’umanità prima del diluvio biblico che si da alla pazza gioia usando e abusando della creazione e delle creature ed il terzo pannello infine è il conto che si deve pagare: le conseguenze della follia della libertà umana. Bosch immagina l’inferno come un luogo caotico e rumoroso, dove tutto è sottosopra, gli oggetti di uso quotidiano come tavoli, pentole e posate diventano oggetti di supplizio per le anime dannate o parodie dei segni del potere: osservate Lucifero rappresentato come un falco che voracemente inghiotte e defeca i corpi dei dannati, stando seduto su un trono che non è nient’altro che una sorta di comoda o di water, con in testa un grosso paiolo a mo’ di corona.

La rappresentazione della musica con i suoi strumenti nella pittura è sempre stata associata alla Gloria di Dio: pensate agli angeli musicanti, alla manifestazione prorompente della gioia del Cielo, metafora dell’armonia e della bellezza che coronano il cielo.
Ma che cos’è l’armonia in musica? È la combinazione simultanea di più suoni, prodotti da uno o più strumenti che danno vita alle più svariate forme musicali, dalla canzoncina popolare alle più elaborate e celebri composizioni.

Se dunque il Paradiso è l’armonia perfetta, gli Inferi al contrario sono il luogo del disaccordo dove gli strumenti musicali fanno chiasso e rumore, del resto basta sbagliare una nota o fallire il ritmo per stonare… Nella visione di Bosch gli strumenti musicali diventano addirittura oggetti di tortura, per chi ha mancato di armonia e ha fomentato il disaccordo ora tocca pagare il contrappasso.
È interessante notare come questi termini appartengono sia al linguaggio musicale sia a ciò che definisce la qualità delle relazioni umane, infatti di una famiglia, di un gruppo di persone, di una comunità si dice sono armonia, che tra di loro o tra di noi si va sempre d’accordo.
Più che rappresentare l’Inferno, questo dipinto è la caricatura di chi ha rinunciato deliberatamente al compito evangelico della fraternità, la parodia di una comunità cristiana composta da persone isolate che pensano di suonare solo per sé, dando vita così ad una cacofonia di suoni, un chiasso infernale, un’esperienza certamente non desiderabile.

Chi se la suona e se la canta è destinato a chiudersi sempre più in se stesso, vedi i due personaggi in cima alla Gironda (lo strumento musicale vicino all’arpa) uno la suona e l’altro si trasforma in un uovo, rannicchiandosi fino quasi a scomparire, triste simbolo dell’uomo che si isola da tutto e da tutti. Come nel film d’animazione “La sposa cadavere”, Bosch sullo sfondo della pala rappresenta la realtà terrena come un luogo cupo, incolore, attraversato da violenti sprazzi di sinistra luminosità che alludono ad episodi di conflitto e distruzione (sembra quasi di vedere la scena di un bombardamento della nostra storia recente), mentre al contrario gli inferi hanno colori vivaci, sgargianti, ed i personaggi sono autentiche caricature: notate in basso a destra una scrofa vestita da suora! Sembra quasi che la cupa dimensione terrena non sia null’altro che un’ ombra, quasi fosse una lontana evocazione, mentre in primo piano viene rappresentata la realtà con incisiva nettezza.
Un monaco nel 1605 guardando quest’opera ebbe a scrivere: “Gli altri pittori cercano di rappresentare l’uomo come appare all’esterno, mentre solo lui ha avuto l’ardire di dipingerlo quale è al di dentro”. Questo potrebbe essere il triste esito di una mancata fraternità che rischiamo continuamente di sperimentare.

La pesca miracolosa

È di Duccio di Buoninsegna la seconda immagine che è ispirata al celebre brano tratto dal XXI capitolo del vangelo secondo Giovanni, nel quale dopo una notte di pesca infruttuosa, sette dei dodici discepoli, ritornati in Galilea dopo la resurrezione di Gesù, mentre stanno mollando il colpo si vedono invitati da un misterioso personaggio sulla riva del lago, a gettare di nuovo le reti. Il risultato si dimostra sorprendente: la pesca frutta una rete colma di centocinquantatre grossi pesci.

Questo dipinto mi suggerisce innanzitutto due cose: da un lato l’iniziativa è di Pietro ed è lui che invita gli altri sei discepoli a pescare, ma non ottengono nulla. La pesca avrà successo solo quando i discepoli daranno credito all’invito del Risorto di lasciare di nuovo le reti. Quasi a dire che ogni tentativo è vano ed infruttuoso, se non nasce dall’obbedienza alla Parola del Signore.
Dall’altro, la pretesa di immaginare una Chiesa, una fraternità fondata solo su motivi umani: che bello stare insieme, ci troviamo tra amici, condividiamo storie interessi e conoscenze e via dicendo, una calda tana dove rifugiarsi dalle intemperie del freddo mondo. È la rete da pesca con la barca, il fulcro del dipinto dove l’una ha il compito di raccogliere l’altra quello di accogliere. Quasi a dirci che la fraternità è come una rete invisibile: attira e mette assieme le diversità, per poi raccoglierci nella medesima barca.
La fraternità è quindi come una grande rete che lega, cattura, collega, mette in relazione e tiene insieme uniti. La rete è tenuta con grande fatica dagli apostoli, quasi a dire che i fratelli nella Chiesa sono un dono di Dio, ma la fatica degli apostoli di oggi è tenere salda questa rete!
Duccio poi rappresenta sette pesci che sono rimasti fuori dalla rete: forse perché c’è sempre qualcuno da recuperare, c’è sempre un fratello da invitare, c’è sempre un figliol prodigo da raccogliere.

Le Filatrici

La terza e ultima immagine è di Diego Velasquez ed è conosciuta come le “Filatrici” o “Aracne e Atena”.
A prima vista sembra un dipinto di genere, nulla di eclatante o eroico, nulla di sacro o di patetico: cinque donne in primo piano intente a lavorare, mentre sullo sfondo come un proscenio di teatro si intravvedono delle cortigiane che ammirano un arazzo che rappresenta la sfida mitica tra Atena e Aracne,racconta da Ovidio nelle sue Metamorfosi.
La scena si svolge in un antro carico di polvere, nella penombra le donne lavorano filando la lana. Velasquez con genialità espressiva ci fa intravvedere il moto della ruota dell’arcolaio che gira a gran velocità con il tipico effetto dei raggi della bicicletta quando viaggia spedita. Per terra fiocchi di lana, gomitoli sparsi sul pavimento per il sollazzo di un gatto.
Questa è l’arte della filatrice, saper ottenere da un batuffolo grezzo di lana un sottile, lungo e resistente filo. Questa è l’arte più difficile, la capacità di tessere un dialogo fraterno, franco e costruttivo.

Ci può aiutare questo apologo di Sufi:
Il re, un giorno, si recò dal grande mistico Farid. S’inchinò e gli offrì un paio di forbici tempestate di diamanti. Farid le ammirò ma le restituì al visitatore: «Grazie per il dono magnifico; ma io non ne faccio uso. Dammi piuttosto un ago». «Ma se hai bisogno di un ago, ti saranno utili anche le forbici», replicò il re. «No – spiegò Farid – le forbici tagliano e separano. Un ago, invece, cuce e unisce ciò che era diviso. Il mio insegnamento è fondato sull’amore e sulla comunione. Mi occorre un ago per ricucire l’unità e non le forbici per tagliare e dividere”.

Questo è al tempo stesso un augurio e un impegno. È, innanzitutto, un augurio per questa Pasqua che ci apprestiamo con la Grazia di Dio a celebrare. Perché noi uomini, che ci fregiamo di essere credenti, accogliamo con meno disinvoltura il compito di essere fratelli e abbiamo ad usare meno le forbici della divisione. In questo tempo di prova, non solo causata dalla pandemia, tempo segnato da derive individualistiche che ledono il tessuto della comunità, frantumandola in tanti scampoli dispersi, diviene per ciascuno di noi impegno a prendere tra le dita l’ago infilandolo col sottile filo del dialogo. Il filo da usare è uno solo: «L’inizio dell’amore per il prossimo sta nell’imparare ad ascoltare le sue ragioni»(D. Bonhoeffer). Come ci mostra il dipinto,questo è frutto di un solerte, umile e paziente lavoro d’insieme, nella Verità e nella Amorevolezza: è questo il tempo di usare ago e filo!

Fraternamente,
Vostro don Emanuele




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