Mi ha molto colpito il discorso di S. Ambrogio
dello scorso 6 dicembre che il nostro arcivescovo
ha rivolto agli amministratori della città di Milano
e all’intera diocesi, per aver posto l’attenzione sul
tema delle virtù.
Le virtù sono azioni positive e luminose, volte al
bene di tutti, che hanno la capacità di cambiare in
meglio chi le pratica. Perché oggi si sente il bisogno
delle virtù? Perché l’arcivescovo ha posto l’accento
su temi quali la gentilezza, la lungimiranza, la
fierezza e la resistenza?
Forse perché si avverte il bisogno di reagire alle
forme di male che in tanti modi deturpano, imbruttiscono
e deformano la nostra società e la soluzione
non può essere solo un’azione esterna, che viene
dall’alto, a prescindere dalla buona disposizione di
tutti.
Lo stile della gentilezza già auspicato ampiamente
nell’enciclica del papa ”Fratelli tutti”, non si può
ridurre alle “buone maniere”, a questioni di galateo,
al buon giorno e buona sera di chi si incrocia
sulle scale del proprio condominio.
La gentilezza è il modo con il quale ci si pone nei
confronti dell’altro facendo sì che l’altro faccia
emergere il bello che è riposto dentro di sé.
Se ci pensiamo è il modo di porsi del cristiano, il
quale vive con grazia ed equilibrio i propri rapporti,
senza indugiare nella debolezze, senza accondiscendere
alla volgarità, senza cedere ai luoghi
comuni, senza arrendersi alla tentazione della
insensibilità, ma coltivando e amplificando i segni
di bene che trova nella realtà delle persone che frequenta.
“La canna infranta non spezzerà,
non spegnerà il lucignolo fumigante,
finché abbia fatto trionfare la giustizia.”
La gentilezza sa custodire la fragilità, non si approfitta
delle debolezze altrui, non coglie nel fallo del
prossimo, nello sbaglio del collega, nella sconfitta
dell’avversario motivo di profitto e di vantaggio.
Perché la gentilezza è guidata da un profondo senso
di giustizia, e sa dare a ciascuno ciò che gli spetta e
consente alla parte migliore di ciascuno di brillare.
Ciò che più affascina della gentilezza come modo
di porsi del cristiano è che essa ha la capacità di
smantellare timori e colmare le distanze, non teme
le divergenze e non fa delle divergenze di posizioni
un pretesto per il conflitto e lo scontro.
Perciò in questo Natale auguro alla mia parrocchia
che possa incarnare sempre di più i tratti della gentilezza,
perché mantenga sempre quel tratto di famigliarità
e di prossimità che la caratterizzano.
A maggior ragione mi sento di ringraziare le sessanta
e più persone che in queste settimane si sono
rese disponibili a nome di tutti noi, di portare l’annuncio
della speranza del Natale in tutte le famiglie
del nostro quartiere senza badare all’appartenenza
religiosa, culturale o etnica.
Semplici vicini che hanno ricordato che se lo vogliamo,
possiamo vivere un’esperienza bella di fraternità
nel segno dell’amore evangelico.
Sono sempre più persuaso che uno dei compiti
delle parrocchie urbane sia quello proprio di incoraggiare
e favorire il passaggio dall’isolamento
e dall’anonimato nel quale si è segregati, alla sfida
della relazione umana profonda e autentica, che nasce
da quel Dio che ci insegna ad essere più umani
perché Egli si è fatto uomo e nostro fratello.