L’ultimo pastore

Una storia per il Santo Natale – di don Emanuele

“Guardando il dipinto di J. Farquharson “Flock of sheeps” – confessa don Emanuele – la penna ha iniziato a scrivere da sola.” Ambientata su monti innevati, in un villaggio di pastori, la storia di Mattàn ci insegna a camminare nella speranza: nulla è perduto e c’è sempre qualcosa che possiamo fare o dare.

Quella notte di inizio inverno così strana e luminosa, i pastori delle steppe del deserto di Giudea non se la sarebbero più scordata.
Anche in quelle latitudini di mondo le giornate si stavano accorciando sempre più e le notti diventavano più lunghe, fredde e interminabili. I pastori accanto ai fuochi accesi per vegliare sulle greggi, passavano le ore notturne raccontandosi vecchie storie, tramandandosi proverbi antichi, scambiandosi opinioni sul tempo futuro, cantando e suonando le musiche struggenti del deserto.

Quando ormai il silenzio avvolgeva tutte le cose e si udiva solo il timido crepitare del fuoco, un’esplosione di luci e di suoni investì i pastori che furono travolti come da un’onda di gioia. Voci cristalline cantavano in tutte le lingue del mondo melodie mai udite da orecchio umano, armonie ardite che invitavano alla danza, mentre alta risuonava la voce: “È nato nella città di Davide il Pastore d’Israele!”.

Sorpresi e sgomenti, i pastori senza nessun indugio si prepararono a partire alla volta di Betlemme. Le donne nelle tende, svegliate dai pastori, raccolsero nelle bisacce pane, qualche forma di formaggio, focacce al miele, schiacciate di fichi e uva passa, mentre gli uomini si occupavano di radunare le greggi.
La curiosità, la gioia, la trepidazione che stavano assaporando, ma anche la paura di non arrivare in tempo e di offendere il Cielo, fecero sì che si dimenticarono di Mattàn, un giovane pastore al suo primo giorno di lavoro, a cui avevano affidato il gregge più indisciplinato e squinternato.

Mattàn, beatamente addormentato, si trovava nella sua tenda quando gli Angeli apparvero in cielo così che le sue pecore, colte dallo spavento, si misero a correre disperdendosi. Il pastorello svegliato di soprassalto, in preda all’agitazione, impiegò moltissimo tempo per radunarle e con l’ansia di perderne qualcuna, contò le pecore almeno quattro volte. Non poteva certo presentarsi con metà gregge, che figura avrebbe fatto!
Quando Mattàn, tutto trafelato, arrivò al campo dei pastori, si ritrovò lui solo con duecentosettantaquattro occhi che lo guardavano con un filo di commiserazione.
I pastori erano già partiti e si erano dimenticati di lui. “Bèh poco importa! – disse Mattàn – Forza, in marcia!”

Mentre si accingeva a raggiungere Betlemme improvvisamente si levò un vento gelido proveniente dalle steppe di Moab, le stelle e la luna scomparvero come inghiottite da una oscurità affamata di luce ed iniziarono cadere i primi fiocchi di neve che diventavano sempre più fitti, finche Mattàn ed il suo gregge si ritrovarono in mezzo ad una bufera di neve degna dei monti Ermon e Zalmon.
“Povero me! – disse Mattàn – Sono perduto, come potrò raggiungere Betlemme con questo tempaccio?”
In cuor suo Mattàn stava considerando di abbandonare l’impresa, la quale si stava rivelando sempre più impraticabile. Diede ordini ai cani guardiani perché radunassero il gregge, ma le pecore sembravano reticenti a seguire le indicazioni del povero pastorello, che sbraitando cercava di ricompattare il gregge per riportarlo indietro.
Nonostante la neve scendesse copiosa e limitasse la visibilità a pochi metri, le pecore continuarono imperterrite a marciare affondando le zampe lanose nella soffice coltre che sempre più aumentava di volume
Sentendosi ormai smarrito e abbandonato anche dal suo gregge Mattàn avvilito si sedette in mezzo alla neve e piagnucolando si ripeteva in continuazione: “Ci rinuncio, sono sempre il solito buono a nulla!” Quando ad un tratto sentì un lamento disperato, subito asciugandosi gli occhi dalle lacrime, si mise a cercare da dove provenisse. Si mosse di qualche passo e vide, immerso fino al collo nella neve, un agnellino che si divincolava e cercava di raggiungere mamma- pecora e il resto del gregge.
Riprendendosi dallo scoraggiamento, Mattàn raccolse il piccolo, ripulì il suo vello dalla neve e delicatamente lo pose al riparo nella bisaccia, poi seguendo le orme che stavano man mano scomparendo, di buona lena raggiunse le sue pecore.

Dopo ore che il gregge vagava nel fitto della bufera, la notte cedette il posto al nuovo giorno, ed anche le intemperie cessarono, lasciando un mantello candido, mentre il cielo si tingeva dei colori dorati dell’aurora. Ma questo non era nulla rispetto allo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi quando giunse a Betlemme.
Appena fuori dal villaggio, presso un anfratto roccioso adibito a stalla per gli animali, stava giungendo un corteo regale: uomini cavalcanti fieri destrieri, vestiti di porpora e bisso, damasco e broccati preziosi, dallo sguardo penetrante, dal volto nobile, dall’incedere solenne, seguiti da uno stuolo di servitori che conducevano cammelli e dromedari carichi di spezie, tappeti, pergamene antiche e curiosi arnesi che non aveva mai visto. Sembrava che la corte del grande re Salomone fosse ritornata in vita!
Mattàn incuriosito si avvicinò per godere meglio di quello spettacolo e con sua grande sorpresa ritrovò i suoi compagni pastori, che con sollievo salutarono il loro amico.

I nobili uomini entrarono all’interno della cavità rocciosa dove si trovavano degli animali ed una giovane coppia ce accudiva un neonato. Davanti alla giovane donna evidentemente imbarazzata, si prostrarono uno ad uno con la fronte fino a terra, mentre lei ritraendosi nascondeva il bimbo che placidamente dormiva tra le sue braccia.
La coppia, viste le buone intenzioni, si tranquillizzò e Maria, così si chiamava la donna, mostrò loro il piccolo che teneva in grembo. Poi gli uomini giunti dall’oriente deposero ai suoi piedi ricchi doni: ampolle colme di essenze profumate, vasi di alabastro con unguenti, argentei vasi cesellati con resine aromatiche, uno scrigno colmo di oro e gioielli, stoffe pregiate, candidi lini e bellissimi giocattoli in legno di sandalo. Doni degni di un principe!
Il giovane uomo, di nome Giuseppe, che stava accanto a Maria, sembrava confuso e tentava con cenni e parole di manifestare tutta la sua riconoscenza. Anche Mattàn sentì che era giunto il suo turno, certo non era né ricco né sapiente come quegli uomini, ma non aveva fatto tanta strada e attraversato una bufera di neve per rimanere come uno spettatore inerme. Anche lui del resto aveva da donare qualche cosa. Prese coraggio, estrasse dalla bisaccia un tozzo di pane, due vasetti di panna fresca e una manciata di uva appassita e goffamente si avvicinò a Maria per porgere i suoi doni. Improvvisamente l’agnellino, che Mattàn aveva sistemato nella bisaccia, iniziò a belare così forte che il bambino si svegliò e aprì i suoi piccoli occhi regalando il più bello tra i sorrisi all’ultimo dei pastori, che grazie al fiuto del suo gregge non perse la strada per andare a conoscere il primo dei Pastori.







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