C’è bisogno di pace


Le riflessioni di Papa Francesco in occasione della giornata mondiale per la pace

Mai come in questo periodo sentiamo l’esigenza di esserci vicini, di chiamarci fratelli. In un’Europa in lutto le parole di Papa Francesco risuonano ancora più decisive e urgenti, ci ricordano l’importanza dell’ascolto, del dialogo, del rispetto nel riconoscerci tutti figli e fratelli.

La Giornata Mondiale della Pace è stata istituita da Papa Paolo VI e celebrata per la prima volta il 1° gennaio 1968. Questo accadeva all’epoca della guerra del Vietnam. Da allora le guerre non sono cessate ma l’impegno della Chiesa Cattolica a favore della pace si è rafforzato. Così, in un discorso storico, il 20 settembre 2016 ad Assisi, Papa Francesco ha detto forte e chiaro: “Solo la pace è santa. Solo la pace è santa. Mai la guerra!”.
E quali sono i modi per costruire una pace duratura? Nel suo messaggio del 1° gennaio, Papa Francesco ne individua tre: dialogo tra le generazioni, istruzione e lavoro.

Il dialogo intergenerazionale apre le porte ad un futuro di solidarietà.
L’istruzione aiuta a superare la paura dell’altro. Il lavoro assicura la partecipazione di ognuno alle necessità di tutti.
Dice Papa Francesco con voce profetica:
“Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace”.

Il dialogo è fondamentale per tutti, ma oggi c’è una lontananza tra le generazioni, e solo un ritorno al vero confronto può portare a una vera crescita umana.
Papa Francesco lo ribadisce con decisione: “Ogni dialogo sincero, pur non privo di una giusta e positiva dialettica, esige sempre una fiducia di base tra gli interlocutori. Di questa fiducia reciproca dobbiamo tornare a riappropriarci! L’attuale crisi sanitaria ha amplificato per tutti il senso della solitudine e il ripiegarsi su sé stessi. Alle solitudini degli anziani si accompagna nei giovani il senso di impotenza e la mancanza di un’idea condivisa di futuro. Tale crisi è certamente dolorosa. In essa, però, può esprimersi anche il meglio delle persone. Infatti, proprio durante la pandemia abbiamo riscontrato, in ogni parte del mondo, testimonianze generose di compassione, di condivisione, di solidarietà.”
Dialogare significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme. Favorire tutto questo tra le generazioni vuol dire dissodare il terreno duro e sterile del conflitto e dello scarto per coltivarvi i semi di una pace duratura e condivisa.
Mentre lo sviluppo tecnologico ed economico ha spesso diviso le generazioni, le crisi contemporanee rivelano l’urgenza della loro alleanza. Da un lato, i giovani hanno bisogno dell’esperienza esistenziale, sapienziale e spirituale degli anziani; dall’altro, gli anziani necessitano del sostegno, dell’affetto, della creatività e del dinamismo dei giovani.
Le grandi sfide sociali e i processi di pacificazione non possono fare a meno né del dialogo tra i custodi della memoria – gli anziani – e quelli che portano avanti la storia – i giovani –, né della disponibilità di ognuno a fare spazio all’altro, a non pretendere di occupare tutta la scena perseguendo i propri interessi immediati come se non ci fossero passato e futuro. […] In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli altri. Senza le radici, come potrebbero gli alberi crescere e produrre frutti?”
Riguardo l’istruzione ha parole molto chiare:
“È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio e così via”.
Auspico che all’investimento sull’educazione si accompagni un più consistente impegno per promuovere la cultura della cura³. Essa, di fronte alle fratture della società e all’inerzia delle istituzioni, può diventare il linguaggio comune che abbatte le barriere e costruisce ponti. «Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media». […] Investire sull’istruzione e sull’educazione delle giovani generazioni è la strada maestra che le conduce, attraverso una specifica preparazione, a occupare con profitto un giusto posto nel mondo del lavoro4. Ed infine il Papa richiama l’importanza che ognuno abbia un lavoro.
“Il lavoro è un fattore indispensabile per costruire e preservare la pace. Esso è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello.
Dobbiamo unire le idee e gli sforzi per creare le condizioni inventare soluzioni, affinché ogni essere umano in età lavorativa abbia la possibilità, con il proprio lavoro, di contribuire alla vita della famiglia e della società. È più che mai urgente promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose, orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato.
Occorre assicurare e sostenere la libertà delle iniziative imprenditoriali e, nello stesso tempo, far crescere una rinnovata responsabilità sociale, perché il profitto non sia l’unico criterio-guida.
In questa prospettiva vanno stimolate, accolte e sostenute le iniziative che, a tutti i livelli, sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani fondamentali di lavoratrici e lavoratori, sensibilizzando in tal senso non solo le istituzioni, ma anche i consumatori, la società civile e le realtà imprenditoriali”.

Nell’Angelus del primo giorno dell’anno, Papa Francesco ha poi concluso dicendo:
“La pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso»³. Dono dall’alto: va implorata da Gesù, perché da soli non siamo in grado di custodirla. Possiamo costruire veramente la pace solo se l’abbiamo nel cuore, solo se la riceviamo dal Principe della pace. Ma la pace è anche impegno nostro: chiede di fare il primo passo, domanda gesti concreti. Si edifica con l’attenzione agli ultimi, con la promozione della giustizia, con il coraggio del perdono, che spegne il fuoco dell’odio. E ha bisogno pure di uno sguardo positivo: che si guardi sempre – nella Chiesa come nella società – non al male che ci divide, ma al bene che può unirci! Non serve abbattersi e lamentarsi, ma rimboccarsi le maniche per costruire la pace. La Madre di Dio, Regina della pace, all’inizio di questo anno ottenga concordia ai nostri cuori e al mondo intero.




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