L’Uomo Nero



L’Uomo Nero Da Lampedusa a Sesto San Giovanni passando per l’Eneide e Brunori Sas

Fare Compagnia ci racconta la storia di Vito Fiorini, barese di nascita, sestese e lampedusano di adozione. Una drammatizzazione volta alla sensibilizzazione e alla denuncia delle terribili vicende che si inscenano nelle acque del Mare Nostrum, alle quali spesso non riusciamo a dare il giusto peso.


“Quei pochi afflitti e miseri Troiani / Ch’avanzarono agli incendi. A le ruine,/ al mare, ai Greci, al dispietato Achille/ Tenea lunge dal Lazio; onde gran tempo,/ Combattuti da’ venti e dal destino,/ Per tutti i mari andar raminghi e sparsi” scrisse Virgilio per raccontare le vicende di Enea e dei Troiani che scappavano dalla desolazione di Troia dopo la celeberrima guerra combattuta contro gli Achei. Queste parole però non possiamo più leggerle con la meraviglia di un tempo, l’illusione del Mediterraneo come scenografia dei testi classici è una cosa che non ci possiamo più permettere.
Oggi quel mare da noi tanto acclamato è scenario di violenze e dolori indescrivibili, ma i ragazzi di “Fare Compagnia” in collaborazione con Vito Fiorini, hanno tentato di raccontare gli avvenimenti del 3 ottobre 2013 con una drammatizzazione: che dire, non ci hanno deluso, in tutta la sala del Centro Culturale Valmaggi non vi era un solo spettatore che non avesse gli occhi lucidi.
Oggi vi vorrei proporre un viaggio alla volta della storia della Gamar, di Vito e di tutte le persone che hanno dimostrato che l’Italia non è solo “Porti chiusi!” e “Mandiamoli a casa loro!”. La lettura animata ci introduce in medias res alle tristi vicende che colpiscono Lampedusa nel 2013: siamo subito chiamati dalle voci dei profughi che ci raccontano le loro storie, storie che, citando il testo, sono “Cariche di paura, ma anche di speranza”.

Da queste parole emerge tutto il dolore, la sofferenza ma anche la speranza delle vittime, che ci colpisce e ci annienta, facendoci sentire quel formicolio alla bocca dello stomaco salire sempre più su, fino alla gola, fino a raggiungere i nostri occhi, che cercano di non far trapelare alcuna lacrima, seppur senza successo.
Qualche anno dopo la tragedia, Brunori Sas ci regala un pezzo di poesia all’interno di una sua canzone: “Non sarò mai abbastanza cinico, da smettere di credere che il mondo possa essere migliore di com’è, ma non sarò neanche tanto stupido da credere che il mondo possa crescere, se non parto da me”. Personalmente trovo questa citazione più che azzeccata nel descrivere ciò che Vito e i suoi compagni hanno fatto quella mattina del 3 ottobre: nel dolore più totale e scontratisi contro alla morte di più di 300 persone, non si sono fatti bloccare dalla paura e hanno reso il mondo migliore di com’è, contrariamente da quello che hanno fatto i fervidi seguaci del protocollo che, sempre citando Brunori Sas “Fanno finta di non vedere, fanno finta di non sapere che si tratta di uomini, di donne e di uomini”.
Il duro colpo arriva quando è il momento di recuperare quelle donne, quegli uomini e quei bambini, che purtroppo l’alba del 3 ottobre non l’hanno vista. Ci immergiamo nel fondale lampedusano dove vediamo il relitto di una barca troppo piccola per poter trasportare più di 500 persone: il mare, che dovrebbe essere costellato di fauna e flora marina, è occupato dai corpi di coloro che purtroppo non ce l’hanno fatta.

Ma perché non ce l’hanno fatta? Perché non si poteva salvarne di più? Questo è quello che si chiedono i Lampedusani, ma i salvataggi non esattamente tempestivi e la malata volontà di rispettare un protocollo disumano sembrano andare a braccetto con la morte, peccato che “La morte non conosce protocollo e l’istinto di un uomo di salvare la vita ad un altro uomo nemmeno” come ci dice Vito, che nei tragici minuti del disastro cerca di salvare quante
molte altre tragedie che si consumano nel Mare Nostrum, risulta evidente che dalla tragedia di Lampedusa non abbiamo imparato niente.
Giungiamo quindi alla conclusione della drammatizzazione: ora ci sono le voci dei cittadini che sono infuriati, contro l’Italia e contro l’Europa, perché purtroppo troppo spesso chi governa si comporta come Don Abbondio: “Affacciato alla finestra, a guardare le macerie, a contare quel che resta”.

Eh già, anche in questo caso Brunori Sas è stato in grado di regalarci una perla all’interno di un suo brano, facendoci pensare quanto spesso si predichi bene senza passare all’azione. C’è fin troppo sofismo in tutto ciò. La gente in mare ha bisogno di fatti, noi abbiamo bisogno di fatti.
Non siamo qui per parlare di politica, ma se vi dicessi che “Sia benedetto il signor Gesù Cristo, che se fosse nato oggi non l’avremmo neanche visto, perso sul Mediterraneo su una barca in mezzo al mare.”, come reagireste?
Il monologo finale ci toglie il fiato: la condanna di questi ragazzi non è un capriccio, ma è il dipinto della società che stiamo ereditando, dove odio e divisioni sono solo la punta dell’iceberg di una società malata e che non vuole curarsi.
In questo caso è inutile nascondersi dietro canzonette, però sarebbe proprio un peccato lasciarvi senza citazione; immagino che possiate prevedere il cantautore, “Dividere le cose è un gioco della mente, il mondo si divide inutilmente”, peccato che, come ci ricordano i ragazzi, in questo caso una divisione c’è, perché “Pure io sono sfinito, senza forze, come loro. Ma io vivo. Loro sono annegati”.







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