In breve le decisioni del consiglio pastorale del 26 marzo 2022
Sabato 26 marzo scorso si è svolto l’ultimo Consiglio
Pastorale che aveva come tema centrale il Sinodo
della Chiesa Universale, il quale interpella
tutto il popolo di Dio ad una fase di ascolto. Sono
stati invitati alcuni membri del Gruppo Barnaba
allo scopo di conoscerci e farci riflettere sulla realtà
del nostro territorio.
Don Emanuele presenta il Decano Don Roberto
Davanzo, parroco di Santo Stefano, ed i membri
presenti del gruppo Barnaba: Eugenio Redaelli,
Massimo Feré e anche la Ausiliaria Maria Luisa che
già conosciamo.
- Incontrare: le realtà associative del territorio, i
Consigli parrocchiali, i movimenti presenti
all’interno di ciascuna comunità, le realtà non
parrocchiali come ad esempio le chiese sorelle o
le altre religioni.
Lo scopo è di capire le realtà del territorio e come ciascuna di esse vi vive./li> - Mettere in rete: corresponsabilità, connessione, collaborazione, come costruire una comunità o, meglio ancora, favorire la crescita di una comunità.
- Riconoscere: le diversità nella logica dell’inclusione e dell’unità dove la corresponsabilità è parte del riconoscimento e consapevolezza delle differenze nell’ottica della loro valorizzazione. Vuole anche dire mettersi in ascolto delle altre persone senza pregiudizi per comprendere come loro ci vedono come comunità.
- Ascoltare: e in quanto Consigio Pastorale chiedersi: come ascoltiamo la realtà circostante? Riusciamoa coglierne i germogli e le risorse? Siamo in relazione con la comunità esterna e in terna?
La partecipazione ad incontri ed eventi è sempre molto scarna, mi chiedo, perché non c’è la risposta della comunità?
Riguardo al tema delle associazioni presenti sul territorio. Mi chiedo come possiamo metterci a confronto creando unità, uscendo dall’ottica del coltivare il proprio orto. Forse dovremmo ascoltarci e raccontarci di più.
Noto una fatica, nella nostra parrocchia, riguardo all’ascolto e all’incontro delle diverse visioni di essere cristiani e dei movimenti che la compongono. Credo che si abbia paura del confronto.
La paura del conflitto spesso ci fa correre il rischio di fermarci al nostro pensiero senza poter invece aprirci al punto di vista altrui. Un esempio sono le procedure anti-covid per cui si sono seguite regole differenti per ogni Parrocchia, è difficile avere una linea comune. La missione, per me, è sentire quello che l’altro vuole.
Un altro rischio è quello del portare avanti le cose con la motivazione del si è sempre fatto così, ciò non permette di vedere nuovi spunti che possono portare a miglioramenti. A volte poi si ha paura della fatica, ma essa, si sa, è indispensabile al cambiamento.
Approvo questo cammino verso una corresponsabilità. L’ascolto dell’altro e delle sue esigenze è importante per trovare sempre nuove modalità di incontro e di dialogo.
Credo che nella visione dell’apertura verso l’altro, le nuove modalità, l’utilizzo dei social media e di altri strumenti tecnologici possano aiutare e arrivare a più persone.
Replica di Eugenio: Non possiamo aspettarci un gran numero di persone che partecipano alle proposte parrocchiali perché i tempi si sono evoluti e c’è un diverso concetto di vivere la parrocchia ed il tempo presente. Ma piuttosto dobbiamo chiederci: noi che cosa facciamo per portare agli altri la nostra missione?
Raccontiamo agli altri quello che viene fatto in parrocchia? Quanto dell’incontro vissuto in parrocchia si racconta e riporta all’altro? Se si fa questo, indipendentemente da quante persone partecipano allo specifico evento, il dialogo esce fuori dal gruppo e si propaga in tutta la nostra comunità. Concordo sul fatto che vi sia fatica a livello decanale nel trovare linee comuni di intervento e procedurali sui vari ambiti, c’è assolutamente bisogno di un dialogo aperto alle opinioni altrui. Se le persone si sentono accolte parlano e riportano i loro pensieri. Dobbiamo quindi cercare di andare sul territorio e fare in modo che le persone si sentano più coinvolte. Sul tema della fatica credo che essa debba essere la spinta per poter andare avanti.
Il conflitto è necessario perché aiuta a conoscere il punto di partenza dell’altro. Allo stesso tempo concordo che bisogna uscire dall’ottica del “si è sempre fatto così” perché i tempi cambiano così come le persone e non è pensabile che non cambino anche le procedure.
Replica di Massimo: Dobbiamo imparare uno sguardo cittadino, occorre uscire dall’organizzazione locale degli eventi e divulgare quello che viene fatto in parrocchia a tutta la città in modo tale che non vi sia la partecipazione solo dei componenti della parrocchia ma di tutte le altre parrocchie. Per quanto riguarda il dialogo con le altre religioni e gli altri movimenti, è un dialogo che si instaura su tanti ambiti con l’obiettivo di cercare punti in comune.
Altro punto di incontro sta nel capire come le diverse religioni si mettono al servizio della comunità e come fare per farlo insieme.
La diversità è la sfida della chiesa che però spesso non si coglie: nell’enciclica “Fratelli tutti”, nel capitolo della riconciliazione, si espone come sia necessario passare dal conflitto per tornare a riconciliarsi. Ho l’impressione che, oltre alla paura della fatica e del confronto, vi sia anche la paura di sbagliare ed è forse questa che più ci blocca nel dialogo con l’altro e che non ci permette un reale incontro.