Io capitano



La testimonianza di chi, su quei barconi, è arrivato fin qui.

Immigrazione e spostamenti dell’essere umano sono stati alla base della società sin dalla notte dei tempi, eppure nel XXI secolo sembra che chi sceglie di “pagare la propria morte” nella minima speranza di una vita migliore venga in Europa a rubarci il lavoro. Ma è davvero così?

Spesso quando partecipo a seminari di critica cinematografica una delle prime cose che consigliano è “non dire secondo me” e “non guardare i film di pancia”; ottimi consigli se posso permettermi, ma non sempre è possibile metterli in pratica. Matteo Garrone, classe 1968, romano, nasce da una famiglia che sembra masticare arte e drammaturgia dal giorno zero, eppure lui decide di raccontare persone, non maschere.
Io capitano, che nel titolo e nella fonetica ci rimanda alla poesia di Whitman “Oh capitano, mio capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato; / la nave ha superato ogni ostacolo, l’ambìto premio è conquistato” mostra con sensibilità e attenzione all’essere umano “il viaggio tremendo” che innumerevoli persone sono costrette a vivere giorno dopo giorno facendo i conti con briciole di speranza. Io capitano, stilisticamente ci propone un racconto senza fronzoli, con una fotografia degna di Sebastião Salgado e che, nonostante dialoghi a tratti lievemente macchinosi, ci fa immergere completamente nella storia di Seydou e Moussa: due giovani senegalesi alla volta per l’Italia. Seguendo i consigli iniziali una volta seduti nella nostra comoda poltrona all’interno della sala cinematografica, vorremmo tutti non emozionarci e non trovare nemmeno una lacrima solcarci le guance durante la proiezione, ma staremmo mentendo a noi stessi. Guy Lodge di Variety afferma che risulti “difficile non lasciarsi coinvolgere dalla grande portata emotiva del film”. Ma a quanto pare, non importa quanti film ci raccontino di queste tremende vicende, l’idea del “Io non sono razzista ma…” continua a vivere forte e chiara nelle menti di molti; per questo è importante, anzi FONDAMENTALE che sin dalle scuole si parli di inclusione.>
La scuola del nostro quartiere “Luigi Einaudi” ci fa aprire gli occhi proprio su queste tematiche super delicate: con un coordinamente di insegnanti super disponibili al lavoro di squadra e la partecipazione di Atchori Lasme Oscar i giovanissimi dell’istituto di istruzione superiore di primo grado sono stati in grado di conoscere la storia di chi il cosiddetto “viaggio della speranza” l’ha effettivamente concluso.
Come introdurre i ragazzi al tema dell’immigrazione? Cosa sanno? La sensibilità respirata in classe e il “gioco” creato fra gli studenti e Oscar riempie il cuore di gioia. Ci viene raccontato di un viaggio tremendo: partendo dalla Costa d’Avorio fino all’Italia, passando per il Mali, l’Algeria e la Libia. Paesi caratterizzati da devastazione e soprusi ingiustificati che, come ci illustra anche Garrone nel suo film, in quelle terre aleggiano con la stessa quantità di granelli di sabbia che ci sono nel deserto. Questi viaggi, all’insegna di un carpe diem estremamente macabro, ti fanno realizzare l’idea di non aver scelta, di dover cogliere quel poco che c’è, con la consapevolezza di star trattando con la morte, perché sì, chi arriva in Italia, “è fortunato, non è forte”, dunque sorge spontaneo chiedersi perché stando ai discorsi di qualcuno Lampedusa è un villaggio turistico.
Oscar ci racconta la sua esperienza: la guerra e la mancanza di possibilità di crescita all’interno del suo paese.
Seppur spostarsi in Mali sembra la scelta migliore dopo pochi anni la situazione sembra essersi riproposta, quasi come se la guerra seguisse il suo tragitto. Davanti a lui le opzioni sono poche: morire o rischiare tutto e sperare di salvarsi? Certo scendere a patti con la morte non è sicuramente facile, ma se glielo si chiede a lui “Dio era sulla sua spalla” e forse, è stato proprio questo ad essere la sua forza.
Il racconto proposto sembra un pezzo di film, un servizio del telegiornale che nessuno di noi vorrebbe mai più vedere, eppure ancora se ne parla. Dalla traversata nel deserto fatta schiacciati come sardine all’interno di un pick-up, all’incontro con il terrorismo libico, o come dice lui “La Mafia Libica”, ci dipinge un quadro che seppur così vicino a noi, spesso ignoriamo: sia la frenesia, sia che le nostre vite sono spesso ricche di altre preoccupazioni, ma come si fa a voltare la faccia? Oscar ci dice che una volta finito il pezzo peggiore del viaggio, ovvero la traversata marittima dalle coste libiche alle coste italiane, i centri di accoglienza prestano un ausilio iniziale non indifferente, ma questo è davvero sufficiente a farci chiudere gli occhi sul fatto che il Mediterraneo sia un cimitero a cielo aperto? Personalmente, non credo.
Come tutti ben sappiamo il 3 Ottobre è l’anniversario della strage di Lampedusa. Sorge spontaneo sottolineare la parola strage… Possiamo illuderci che quella del 3 ottobre 2013 fosse soltanto un caso, ma non è così. In quella data sui social girano un sacco di foto e testimonianze postate per essere solidali con la tragedia successa soltanto 10 anni fa, ma, scorrendo nei vari gruppi Whatsapp quella che fa sorridere con aria tristemente malinconica è la testimonianza proposta dalla pagina instagram di @possibileit che ci mostra una gelateria lampedusana chiusa per lutto: la gelateria di Vito Fiorino. Eh già, proprio lui, che ha portato a Sesto San Giovanni la drammatizzazione di un suo spaccato di vita “Quel Mattino A Lampedusa”.
Una bella lezione di umanità questa volta viene proprio dai ragazzi della scuola media Einaudi: il 3 Ottobre 2023 per ricordare la terribile sciagura inaugurano un progetto artistico realizzato a più mani; diverse classi della scuola si sono impegnate nella realizzazione di un diorama che raffigura il Mediterraneo in tutta la sua “cruda nudità”: vi sono remi e vestiti sparsi sulla superficie del pelo dell’acqua, segno di tutte le vite inghiottite dal mare, rocce sparse come a indicare che gli ostacoli non sono ancora finiti, ma in lontananza riusciamo a scorgere una divinità voodoo esponente della magia bianca che sta augurando auspici di buon viaggio a tutti i coraggiosi. Ma il nostro cuore si spezza definitivamente quando buttiamo lo sguardo sul fondale marittimo: zainetti, giochi di bimbi, assi di legno di barche affondate… Il Mediterraneo diventa la carta d’identità di tutte quelle vite che non ce l’hanno fatta, ma che hanno lottato.
Forse il racconto di Oscar, lo spettacolo di Fiorino in collaborazione con DireFareDare e il film di Garrone non dovrebbero rimanere prettamente storie, quindi, anche se oggi è troppo tardi, rimbocchiamoci le maniche e facciamo in modo che il numero di persone morte o scomparse durante le rotte migratorie dal 2014 ad oggi non aumenti nuovamente: perché di 55.127 persone oltre 26.000 sono solo quelli che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo, perciò riflettiamo prima di fare le nostre splendide e meritate vacanze al mare, perché quel mare, ahimé, ha un doppio volto, che non sempre riconosciamo.







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