Spesso quando partecipo a seminari di critica cinematografica
una delle prime cose che consigliano
è “non dire secondo me” e “non guardare i film di
pancia”; ottimi consigli se posso permettermi, ma
non sempre è possibile metterli in pratica. Matteo
Garrone, classe 1968, romano, nasce da una famiglia
che sembra masticare arte e drammaturgia dal
giorno zero, eppure lui decide di raccontare persone,
non maschere.
Io capitano, che nel
titolo e nella fonetica ci
rimanda alla poesia di
Whitman
“Oh capitano,
mio capitano! Il nostro
viaggio tremendo è
terminato; / la nave ha
superato ogni ostacolo,
l’ambìto premio è conquistato”
mostra con
sensibilità e attenzione
all’essere umano “il viaggio tremendo” che innumerevoli
persone sono costrette a vivere giorno
dopo giorno facendo i conti con briciole di speranza.
Io capitano, stilisticamente ci propone un
racconto senza fronzoli, con una fotografia degna
di Sebastião Salgado e che, nonostante dialoghi a
tratti lievemente macchinosi, ci fa immergere completamente
nella storia di Seydou e Moussa: due
giovani senegalesi alla volta per l’Italia. Seguendo
i consigli iniziali una volta seduti nella nostra comoda
poltrona all’interno della sala cinematografica,
vorremmo tutti non emozionarci e non trovare
nemmeno una lacrima solcarci le guance durante
la proiezione, ma staremmo mentendo a noi stessi.
Guy Lodge di Variety afferma che risulti “difficile
non lasciarsi coinvolgere dalla grande portata emotiva
del film”. Ma a quanto pare, non importa quanti
film ci raccontino di queste tremende vicende, l’idea
del “Io non sono razzista ma…” continua a vivere
forte e chiara nelle menti di molti; per questo è
importante, anzi FONDAMENTALE che sin dalle
scuole si parli di inclusione.>
La scuola del nostro quartiere “Luigi Einaudi” ci fa aprire gli occhi proprio su queste tematiche super
delicate: con un coordinamente di insegnanti super
disponibili al lavoro di squadra e la partecipazione
di Atchori Lasme Oscar i giovanissimi dell’istituto
di istruzione superiore di primo grado sono stati
in grado di conoscere la storia di chi il cosiddetto
“viaggio della speranza” l’ha effettivamente concluso.
Come introdurre i ragazzi al tema dell’immigrazione?
Cosa sanno? La sensibilità respirata in classe
e il “gioco” creato fra gli studenti e Oscar riempie
il cuore di gioia. Ci viene raccontato di un viaggio
tremendo: partendo dalla Costa d’Avorio fino all’Italia,
passando per il Mali, l’Algeria e la Libia. Paesi
caratterizzati da devastazione e soprusi ingiustificati
che, come ci illustra anche Garrone nel suo
film, in quelle terre aleggiano con la stessa quantità
di granelli di sabbia che ci sono nel deserto. Questi
viaggi, all’insegna di un carpe diem estremamente
macabro, ti fanno realizzare l’idea di non aver scelta,
di dover cogliere quel poco che c’è, con la consapevolezza
di star trattando con la morte, perché
sì, chi arriva in Italia, “è fortunato, non è forte”,
dunque sorge spontaneo chiedersi perché stando
ai discorsi di qualcuno Lampedusa è un villaggio
turistico.
Oscar ci racconta la sua esperienza: la guerra e la
mancanza di possibilità di crescita all’interno del
suo paese.
Seppur spostarsi in Mali sembra la scelta migliore
dopo pochi anni la situazione sembra essersi riproposta, quasi come se la guerra seguisse il suo tragitto.
Davanti a lui le opzioni sono poche: morire o
rischiare tutto e sperare di salvarsi? Certo scendere
a patti con la morte non è sicuramente facile, ma
se glielo si chiede a lui “Dio era sulla sua spalla” e
forse, è stato proprio questo ad essere la sua forza.
Il racconto proposto sembra un pezzo di film, un
servizio del telegiornale che nessuno di noi vorrebbe
mai più vedere, eppure ancora se ne parla. Dalla
traversata nel deserto fatta schiacciati come sardine
all’interno di un pick-up, all’incontro con il terrorismo
libico, o come dice lui “La Mafia Libica”, ci
dipinge un quadro che seppur così vicino a noi,
spesso ignoriamo: sia la frenesia, sia che le nostre
vite sono spesso ricche di altre preoccupazioni, ma
come si fa a voltare la faccia? Oscar ci dice che una
volta finito il pezzo peggiore del viaggio, ovvero la
traversata marittima dalle coste libiche alle coste
italiane, i centri di accoglienza prestano un ausilio
iniziale non indifferente, ma questo è davvero
sufficiente a farci chiudere gli occhi sul fatto che il
Mediterraneo sia un cimitero a cielo aperto? Personalmente,
non credo.
Come tutti ben sappiamo il 3 Ottobre è l’anniversario
della strage di Lampedusa. Sorge spontaneo
sottolineare la parola strage… Possiamo illuderci
che quella del 3 ottobre 2013 fosse soltanto un
caso, ma non è così. In quella data sui social girano
un sacco di foto e testimonianze postate per essere
solidali con la tragedia successa soltanto 10 anni
fa, ma, scorrendo nei vari gruppi Whatsapp quella
che fa sorridere con aria tristemente malinconica è
la testimonianza proposta dalla pagina instagram di
@possibileit che ci mostra una gelateria lampedusana
chiusa per lutto: la gelateria di Vito Fiorino.
Eh già, proprio lui, che ha portato a Sesto San Giovanni
la drammatizzazione di un suo spaccato di
vita “Quel Mattino A Lampedusa”.
Una bella lezione di umanità questa volta viene
proprio dai ragazzi della scuola media Einaudi: il
3 Ottobre 2023 per ricordare la terribile sciagura
inaugurano un progetto artistico realizzato a più
mani; diverse classi della scuola si sono impegnate
nella realizzazione di un diorama che raffigura il
Mediterraneo in tutta la sua “cruda nudità”: vi sono
remi e vestiti sparsi sulla superficie del pelo dell’acqua,
segno di tutte le vite inghiottite dal mare, rocce sparse come a indicare che gli ostacoli non sono
ancora finiti, ma in lontananza riusciamo a scorgere
una divinità voodoo esponente della magia bianca
che sta augurando auspici di buon viaggio a tutti
i coraggiosi. Ma il nostro cuore si spezza definitivamente
quando buttiamo lo sguardo sul fondale
marittimo: zainetti, giochi di bimbi, assi di legno di
barche affondate… Il Mediterraneo diventa la carta
d’identità di tutte quelle vite che non ce l’hanno fatta,
ma che hanno lottato.
Forse il racconto di Oscar, lo spettacolo di Fiorino
in collaborazione con DireFareDare e il film
di Garrone non dovrebbero rimanere prettamente
storie, quindi, anche se oggi è troppo tardi, rimbocchiamoci
le maniche e facciamo in modo che
il numero di persone morte o scomparse durante
le rotte migratorie dal 2014 ad oggi non aumenti
nuovamente: perché di 55.127 persone oltre
26.000 sono solo quelli che hanno tentato di attraversare
il Mediterraneo, perciò riflettiamo prima di
fare le nostre splendide e meritate vacanze al mare,
perché quel mare, ahimé, ha un doppio volto, che
non sempre riconosciamo.